“Penso che mai ci sia stato in precedenza un divario generazionale così ampio come oggi. Lo si percepisce tanto in ambito professionale quanto in quello privato. Gli estremi si toccano nelle conversazioni lette nella piazza social più spregiudicata e parolaia, la X di Musk.
Buzzo, uno user, scrive: ‘Giro per la città, che sia a piedi o in macchina, e l’unico pensiero fisso che ho è: siamo troppi, troppa gente. Dovremmo sfoltire di almeno la metà e almeno l’80% degli over 60.’ Tra le molte e dirompenti risposte, Frias 4,1% (user) rilancia: ‘Io eliminerei tutti quelli tra i 15 e i 25 anni. È una generazione di idioti sociopatici, completamente inadatti alla vita e sono a un passo dall’entrare nel mondo del lavoro. Uccideteli tutti prima o il danno sarà irreparabile.’ Andy Dufresne (user) chiude con: ‘Inizia a suicidarti’.
Anni fa il divario era minore? Ma anche se fosse stato in termini di visione e valore esistenziale, al di là di qualche battuta, si lasciava correre. Oggi l’essere avanti con gli anni è quasi una colpa, e l’essere insultati e dileggiati ne è la diretta conseguenza. Il ‘boomer’ è il troglodita tecnologico e divoratore di attività del momento; farsi capire nelle logiche o distinguersi è faticoso. Il mondo dei millennials e della generazione Z, per citare gli accusatori, è una pubblica piazza di astio e incomunicabilità.
Certo, viene da chiedersi se, nella logica della loro visione, sia giusto tenersi alla larga o criticare cinquantenni, sessantenni e settantenni che si comportano come trentenni. Non generalizzo, ma ci si ostina a mantenere saldo il rifiuto degli anni che passano, si ostenta, ci si camuffa, si frequentano social network per ‘esserci’, ‘dimostrare’ e ‘contare’, illudendoci che tutto ciò ci faccia sentire ancora fortemente connessi con la società.
Genitori amici, protettori di figli anche quando dovrebbero essere giustizieri, concedono agli astuti pargoli la possibilità di additarli come poveri co…ni incapaci di gestirli.
In ambito professionale è un continuo irriderli per presunta incapacità, per indolenza nel non voler concedere tempo oltre il dovuto o per scansare sacrifici necessari alla crescita esperienziale.
Tralasciamo o non vogliamo comprendere quanto invece abbiano saputo alzare la testa rispetto a noi, impugnando la dignità di essere pagati per quanto fanno e come lo sanno fare; per aver detto che fuori esiste una vita oltre gli ingannevoli open space luminosi o i reparti a catena di montaggio.
Tutto ciò, forse, basta davvero per non discutere, per non costruire relazioni, per isolarsi senza contaminazioni da generazioni che vedono solo sé stesse.”