Leggo del dietrofront britannico riguardo al discutibile messaggio di “inclusione” verso la crescente popolazione islamica nel continente europeo e questo mi spinge a riflettere.
Da alcune settimane, anche in Italia si discute ampiamente riguardo alla libertà di culto e all’inclusione, in particolare in relazione al rispetto del “Ramadan”; il caso più evidente è quello di una scuola che ha deciso di chiudere per permettere agli studenti musulmani di celebrare la festività.
Ho trascorso tre quarti della mia vita viaggiando e vivendo in numerosi Paesi del mondo, identificandomi in valori progressisti e liberali e avendo avuto l’opportunità di immedesimarmi, con rispetto, in culture, valori e tradizioni differenti dalle mie, mi ha posto nella condizione di perseguire con determinazione il principio della reciprocità.
Arriverà un tempo in cui saremo diventati, in termini quantitativi, pochi e oggettivamente una minoranza, come ci insegnano i dati demografici attuali, e sarà il momento della verità. È probabile che coloro che sono stati oppressi desiderino prevalere senza concedere sconti o compassione, a meno che non scelgano di rispettare dignitosamente ciò che resta di una cultura precedentemente dominante.
Osservo, come molti, cosa significa democraticamente “rispettare” le minoranze quando vedo imprenditori trovare soluzioni che favoriscono la libertà di culto e le necessità dei dipendenti islamici; quando leggo di scuole che ascoltano le richieste degli studenti musulmani al fine di garantire una convivenza interculturale e interreligiosa; quando vedo amministratori locali cercare spazi da destinare al culto per religioni diverse da quella di Stato.
Tuttavia, ho la sensazione che il divario si stia allargando a nostro sfavore, erodendo poco a poco tradizioni, soprattutto religiose, valori e anche identità storica, nel nome dell’integrazione. È possibile che io sia diventato improvvisamente incoerente? No, non lo credo.
Nella mia attività nel campo delle Relazioni Internazionali, ho sempre cercato di favorire percorsi che privilegiassero la reciprocità dei diritti e, quando l’argomento riguardava il principio negli Stati a maggioranza musulmana, i testi degli accordi diventavano cauti, i toni dei dialoghi moderati, quasi per timore di reazioni avverse in grado di interrompere il processo.
Negli anni, i risultati non sono cambiati: pochissime chiese per praticare la nostra fede o leggi che tutelino i fedeli cattolici. In pratica, quello che viene richiesto ad un cristiano-cattolico in Paesi islamici è solo un’obbligata osservanza alle regole .
Anche se resta poco tempo, non è ancora giunto il momento di cedere ad un processo di islamizzazione sempre meno silenzioso.
Ecumenismo sì, ma senza egemonie.