I veloci e continui cambiamenti in atto delle regole nei mercati economici globali, spingono molte delle nostre PMI, vero tessuto economico del Paese, alle strette di una riflessione sulla necessità di un passaggio generazionale alla guida delle imprese.
Il rischio sempre più concreto è quello di perdere competitività. Molti gruppi o grandi imprese, avvertono in queste aziende, si tratta nella maggior parte dei casi di terzisti di sub-fornitura, un gap anagrafico tra chi governa e chi dovrà gestire il futuro prossimo. Tutto ciò non li rassicura sulla garanzia di continuità.
Abbiamo imprenditori settantenni che anziché frequentare la palestra della delega, preferiscono quella del super ego, si proteggono attraverso la barriera dell’infinita sfiducia verso chi li supporta.
Affiancare è un verbo censurato nel loro vocabolario professionale, concedere oneri ed onori della ufficiale rappresentanza è come subire la perdita di identità.
Gli attori nel passaggio generazionale dovrebbero essere tre, mai due come erroneamente si crede: datore di lavoro, nuova generazione e risorse umane tutte.
Senza la consapevolezza, motivazione e collaborazione della forza lavoro, ogni progettualità è respinta al mittente, compromettendo il risultato o azzoppandolo nei benefici.
Oggi, imprenditori e nuova generazione parlano lingue differenti e senza comprendersi portano ad uno stallo continuità ed evoluzione aziendale, nonostante una storia di successi alle spalle.
La nuova generazione famigliare ha necessità di maturare competenza ed acquisendo metodologia, deve giungere a identificarsi in un manager professionista, esautorando nel completo (all’interno dell’azienda) il rapporto di parentela acquisito.
La nuova personalizzazione porrà nelle condizioni la gestione di un rapporto adulto e professionale, capace di analisi, confronto e proposizione, con l’unica finalità di non compiacere ai parenti e neppure a sé stessi ma solo al bene dell’azienda.
A volte, il miglior esempio di rispetto verso una storia imprenditoriale incancellabile.
Il datore di lavoro famigliare smetterà col tempo di ascoltare con diffidenza dei figli introdotti al mestiere semplicemente perché l’opportunità era dentro casa. Troverà seduti al tavolo gestionale dei giovani capaci, in grado di intraprendere con coscienza un percorso manageriale volto a dare vera continuità all’azienda. Cresciuti perché maturati attraverso la responsabilizzazione alla delega, con la consapevolezza di un ascolto interessato.
Solo in quel momento, con un linguaggio simbiotico si rivolgeranno ad essi come ad un dirigente assunto al quale chiedere risultati senza sconti e giustificazioni nell’obiettività delle capacità dimostrate.
E quando sono incapaci? Meglio ammetterlo, cedere il comando ad un professionista esterno e godersi la pensione.