Nel lontano 1983, crescevo professionalmente come deejay a RadioSuperLecco e coordinavo i palinsesti dell’allora TeleSpazio, il gioco prendeva la forma di qualcosa di serio gravitando tra Lecco e Milano.
Monitorando la mia passione, l’amico Sergio Gargari, consulente tecnico dell’emittente ma primo direttore tecnico del secondo canale RAI negli anni’60 a Milano, mi chiede se abbia voglia di fare una stagione di tirocinio alla trasmissione della domenica pomeriggio Blitz. Autori: Aldo Bruno, Giovanni Minoli e Gianni Minà.
Fu la prima esperienza, le seconda la feci qualche anno dopo con Sandro Curzi al TG3.
Quelle domeniche restano ancora oggi speciali, non solo per emozioni vissute, dentro quegli studi passarono grandi attori, registi, politici, scrittori o cantanti ma per una scuola di vita professionale.
Il Maestro Gianni Minà si muoveva dentro quegli studi tra cavi, luci e telecamere come un direttore d’orchestra, l’intesa con la regia era perfetta grazie alla sua abilità di gestire i ritmi di ascoltare i suoi ospiti ma anche ogni tecnico o collaboratore.
Curzi era austero, diretto, inflessibile; Biagi umile perfezionista, Gianni Minà era il carisma educato.
Cercavo sempre di non finire in mezzo ai piedi, restavo nell’ombra osservando ed ascoltando, scrutando le gestualità e le espressioni del volto mentre poneva domande e ascoltava risposte.
Dopo pochi minuti anche l’ospite più diffidente si apriva come ad un amico, raccontando storie ed aneddoti diventando poi parte della storia del giornalismo televisivo.
Ricordo durante le prove quando diceva al direttore di studio:” Lasciali venire avanti quei ragazzi! Devono vedere, capire, sono parte della squadra, non sono spettatori”.
In quelle parole c’era la sua umanità, lontana anni luce dai Sanremo vissuti con Baudo, un monarca organizzativo nella sua eccellente professionalità.
Minà si rifugiava poco nel camerino, faceva tutto nello studio, rileggeva i copioni, parlava con gli autori, chiacchierava con cameraman, fonici e tecnici come fossero la sua famiglia.
Mai una parola di troppo, tanti insegnamenti, garbo ed empatia, che nel mio piccolo ancora oggi cerco di emulare, forse in segno di riconoscenza. Grazie Gianni.