J.M. Coetzee premio Nobel per la letteratura, dice delle abitudini che si fa l’abitudine a tutto, anche al continuo peggioramento di ciò che già era ai limiti della sopportazione.
Una in particolare rispecchia quest’affermazione ed è quella del mancato rispetto di chi non risponde in generale, per iscritto, vocalmente con un messaggio o di persona.
Oggi infatti, adempiere a questo distingue, premia e crea valore non solo all’individuo o al professionista, ma anche al prodotto o al servizio venduto.
Chi di noi non si è trovato ad interpellare qualcuno per un problema, un guasto, un preventivo o come nel mio caso un invito ad un’intervista e constatare che nonostante solleciti non arrivino risposte? Molti anzi, moltissimi.
Negli anni, l’attività giornalistica mi ha portato a contatto con il mondo dell’intrattenimento, musica, cultura ma anche politica. Ho potuto intervistare grandi nomi da Freddy Mercury a Tina Turner, Annie Lennox, da Renata Tebaldi a Michael Gorbaciov o Vasco Rossi agli arbori della carriera.
Il tremore alle gambe e l’irrefrenabile sudorazione alle mani erano il tratto distintivo dell’emozione scaturita nel trovarmi dinnanzi a personaggi di calibro.
Per paradosso invece, più i personaggi erano importanti più erano “persone” vere. La buona educazione, la disponibilità, il buon uso del mettere a proprio agio vincevano sulla freddezza e il noioso assolvimento di un impegno per loro obbligato.
Gli anni più bui li ricordo nella sala stampa del tempio sanremese, dove intervistare nuove proposte e cantanti alle prime affermazioni da hit parade era come affrontare il toro per le corna, si schermivano come star facendosi attendere per ore o rispondendo per grazie ricevuta a due domande.
Oggi come redazione per la rubrica Windows Interview proponiamo molti inviti a personalità, esperti e personaggi pubblici di vari settori e i paragoni restano immutati se non volti al peggioramento di abitudini malsane.
I migliori ancora una volta si distinguono per classe ed educazione a prescindere, anche quando non accettano l’invito. È il formale segno di rispetto per chi come loro lavora con impegno e motivazione credendo in quello che fa. Lo stesso dicasi delle agenzie o agenti che gestiscono questi personaggi.
Può esserci solo una persona o come nel nostro caso molte al lavoro dietro un semplice invito, ma questo non cambia la questione.
In rilievo negli ultimi mesi il soprano Katia Ricciarelli autentica maleducata (come ci avevano indicato nell’ambiente prima di contattarla) o il giovane scrittore finalista del Premio Strega Jonathan Bazzi, indifferente alle molte educate richieste di contatto.
Ho voluto citare i casi accaduti nella mia attività ma ognuno ne avrebbe una lista.
Basta molto poco per rendersi credibili, a volte meno di saper brillare in una conferenza, aggiustare un rubinetto o scrivere un articolo.
Imparare a rispondere o a delegare quando non possiamo farlo personalmente, diverrebbe una sana abitudine sociale.
“Rispetto” è la parola d’ordine che tutti dovrebbero ricordare e fare propria. È la base dei rapporti interpersonali che nessuno dovrebbe dimenticare o ignorare. Quando ricevo un contatto o una richiesta, per questioni personali, professionali o di qualunque altro genere, io devo dare una risposta perché ho un debito da saldare. E non mi importa da chi provenga: può essere un familiare, un amico, il mio “capo” (il presidente del gruppo per cui lavoro), un collega di qualunque livello, un membro dell’associazione sportiva di cui sono dirigente, un amico dei miei figli… non importa: se si è rivolto a me, merita la mia attenzione e il mio rispetto, merita una parte del mio tempo. Sta a me decidere la misura del riscontro che potrò dare, ma anche fosse minima, ci sarà
Grazie Dario della tua attenzione e intervento che condivido appieno. Di questi tempi servirebbero campagne progresso.