Viviamo un tempo in cui la percezione del bene sovrastato dal male, complice l’amplificazione mediatica, è universalmente tangibile.
Pochi miliardari decidono cosa sia meglio o peggio per le nostre società, super potenze disposte a tutto per conquistare terre rare a protezione di un’egemonia incerta e supportate da una finanza spericolata producono un quadro di azioni quotidiane che gettano sconforto nelle società civili.
È il tempo delle incertezze, di continui cambiamenti che richiedono forti capacità di adeguamento, pena una feroce selezione all’oblio permanente.
Noi esseri umani siamo ogni giorno più fragili. I più forti si affidano alle proprie capacità, le e si adattano alle necessità del lavoro, dei legami affettivi e dei rapporti sociali, i più deboli dopo un tormentato travaglio si avvolgono di un vittimismo conciliante, quello che giustifica ogni insuccesso o incapacità.
Tra loro, col tempo c’è chi si sente meno bersaglio degli accadimenti trovandosi a proprio agio ma finendo per dare trionfo all’apatia peggiore e chi, finisce nel girone infernale della depressione.
Gli indifferenti lo sono per qualunque cosa accada fuori o dentro le loro vite arrivando a non provare più emozioni, disperando per il mancato raggiungimento di una felicità agognata in tempi migliori.
Sono indifferenti a tal punto dall’arrivare a non esser capaci neppure di annoiarsi così, inizia la ricerca dell’impossibile, di qualcosa che riesca a proiettarli fuori dalla triste realtà, diventano clienti fidelizzati della trasgressione.
Non essendo criminali, delinquenti o poco di buono per natura, si mimetizzano, dando vita ad una doppia personalità a tal punto che anche chi abitualmente li conosce e frequenta non ne percepisce il cambiamento.
Per questo, troviamo carnefici con la familiarità della vittima. A volte non vorrebbero esserlo ma la ricerca spasmodica di quella felicità illusoria, di cui non conoscono nemmeno forma e contenuti li porta anche a tragedie.
Quando leggo che il piccolo Nicolò di soli due anni, è morto, dice l’autopsia, per un’overdose di hashish, probabilmente rinvenuta in casa insieme ad altri stupefacenti detenuti dal padre, implodo di rabbia e razionalmente provo a trovare i perché.
Quando leggo nei primi articoli di luglio le affermazioni di vicini e conoscenti, arrivo alle deduzioni che ho descritto, una famiglia normale, un padre davvero perbene.
Solo la tragedia ha fatto emergere l’improbabile carnefice altrimenti sarebbe rimasto nell’ombra quanto migliaia di tanti altri che troviamo accanto al lavoro, negli affetti o semplicemente nell’autobus che prendiamo ogni mattina.
Sono tutti vittime dell’incapacità di comprendere che:
è normale non essere sempre felice;
è normale provare noia;
è normale non sentirsi sicuri quando facciamo qualcosa di importante;
è normale non sentirsi sempre all’altezza;
è normale essere tristi a volte;
è normale provare ogni tipo di emozione;
è normale soffrire.
E’ possibile provare tutto questo, e vivere comunque una vita ricca e significativa, soprattutto se, nonostante tutto questo le nostre scelte ed i nostri comportamenti sono guidati dai ciò che c’è di realmente importante e non da ciò che proviamo dentro di noi.
Il coraggio di apprezzare e restare sé stessi, allontana oggi il rischio di vivere improvvisamente come vittima e carnefice.