Oggi qui a Rzeszow arriva Biden, incontrerà il comando militare statunitense aggiornandolo sulle decisioni del vertice Nato a Bruxelles. Molti i militari americani incontrati in questi giorni per le strade della città, a macchia di leopardo mischiati con la gente comune oramai abituata alla loro presenza, quasi a sentirsi rassicurata dai venti di guerra.
Mentre la politica e il potere si occupano di cose elevate, come fermare una guerra immonda ad esempio, chi la vive sul campo e chi ne subisce le conseguenze non ha tempo di aspettare. Ogni momento è una tragedia.
Ieri pomeriggio al Centro di Prima accoglienza di Przemyls ne abbiamo vissute due. Impossibile dire quale la peggiore.
Nella notte tra i molti è arrivata Olha, un donna Ucraina di 58 anni, il volto segnato da sofferenza accumulata nel tempo. Con lei una bimba di 8 anni, Vira. Qualcuno nel dare il primo ristoro all’alba tra coperte e latte caldo, raccoglie la storia.
Olha ha dovuto lasciare a Rivne vicino a Kiev il marito e genero, padre della bambina. L’hanno costretta a fuggire per non morire, la figlia di Olha è morta quando Vira aveva solo due anni. Da allora l’hanno cresciuta lei e il nonno.
Una bambina dolce, occhi vivaci quasi incapaci di raccontare la profondità delle sue sofferenze, ora quelle di una guerra incomprensibile.
Hanno trascorso una mattinata tra lo stand delle bevande e quello dove volontari animatori con qualche palla e travestimenti cercano di riconnettere i bambini al mondo reale.
Poi nel pomeriggio improvvisamente Olha si è sentita male e subito soccorsa, è stata portata d’urgenza in ospedale dove è morta per un infarto, il dolore stavolta è stato troppo anche per lei.
Gli amici volontari han dovuto dire a Vira, che la nonna se n’è andata anche lei. Son riusciti a rintracciare il padre e non il nonno, ha chiesto di affidarla finché sarà possibile ad una famiglia, verrà a riprendersela quando potrà ma le sue parole, dicono chi era al telefono erano un addio.
Verso le 16 qualcuno dentro il padiglione dove dormono i profughi inizia a gridare, due ragazze dicono di non trovare più i figli, un bambino ed una bambina, 4 e 6 anni.
Panico ovunque, viene informata la polizia e tutti iniziamo una ricerca durata ore. Impossibile però circondare l’area, men che meno fermare ogni persona, è un via vai di auto, furgoni e autobus, migliaia di persone. In queste condizioni è stato fatto il possibile ma i due bambini sono svaniti nel nulla tra il lacerante grido delle due giovani madri.
Da qualche giorno si era sparsa la voce di delinquenti dediti al racket di minori e prostitute e per questo all’ingresso era stato apposto un cartello di divieto di usare auto o furgoni privati per caricare donne e bambini.
Le donne, giovani, finiscono con promesse d’aiuto ad alimentare il giro di prostituzione elevato in tutta l’Europa.
Ieri hanno anche detto che gruppi di rom ucraini entrano alla frontiera dove passano i profughi e vanno a rubare dentro i container o le bancarelle dove sono ammassati indumenti usati, latte in polvere o scarpe.
Anche nella tragedia di una guerra, chi non la subisce abusa e come solo sa fare un criminale, affonda il coltello nei sopravvissuti senza lasciare scampo.
Son tornato in camera e mai come prima mi sono sentito piccolo, fragile e soprattutto impotente.