È solo guardando gli zaini militari riposti nei sedili accanto, mentre viaggiavo in treno verso Korczowa al confine polacco con l’Ucraina, che il film ripetutamente visto in televisione in queste settimane ha cessato d’esistere lasciando il posto ad una cruda realtà.
Una volta partito dalla stazione di Cracovia, il regionale che percorre quasi 200 km era gremito di gente. Molti di essi avevano accento francese, altri olandese. Lo si capiva anche dagli stemmi e piccole bandiere, sporgenti dagli zaini e materassini da campo.
In tre ore di viaggio ho ascoltato molto, cercando di comprendere i loro discorsi, per poi presentarmi ed integrarmi. In parte erano ucraini, tornavano in Patria per combattere, molti degli altri però erano mercenari.
Ragazzi ma anche uomini i cui discorsi erano farciti di sorrisi, perbenismo e incisiva violenza. Per un attimo ho avuto l’impressione che l’Ucraina fosse solo una delle tante, la guerra queste persone l’hanno nel sangue.
Il nemico oggi è Putin domani uno che avrà solo un nome diverso e mentre io spiegavo i centomila volontari polacchi lungo il confine, esausti e motivati alla ragione umana, loro replicavano parlandomi di appostamenti, traiettorie di tiro e delle migliori armi.
Mentre io mi farò forza nel guardare negli occhi la disperazione degli sfollati o i sopravvissuti feriti, loro cammineranno accanto ai cadaveri, alcuni, loro compagni fino a poco prima o altri feriti a sangue freddo e poi finiti.
È la propensione all’odio e quando finalmente si apre un varco nella pace, loro si ritrovano come i coscritti per un anniversario, giocano alla guerra.
Intanto ieri sera all’arrivo nella stazione, ho faticato a farmi strada in mezzo a gente seduta avvolta nelle coperte e con gli occhi perduti nel vuoto.
Sono tanti, troppi, quasi impossibile gestire un flusso che non accenna a diminuire e che nei prossimi giorni potrebbe perfino aumentare.
Qui ci si chiede dove è l’Europa dei 27, ma anche dove siano gli Stati Uniti, non bastano denaro ed armi, lasciando il disastro umanitario a terzi.
Avete mai visto una nave americana durante il conflitto bosniaco nel mar adriatico o adesso nell’area del conflitto con oggetto una missione umanitaria?
Quanti profughi ci starebbero su una superba portaerei della sesta o settima flotta? Pensare di costruirne una con sola destinazione umanitaria e portarsi donne, bambini e anziani in terra americana, Patria della libertà e democrazia, sarebbe un gesto a dir poco universale.
Dopo guerre poco nobili destinate ad esportare la libertà, sarebbe un ritorno alle nobili politiche di Roosevelt e delle vere sinistre progressiste.