Alla fine anche la Consulta ha rispedito a chi di dovere la decisione di redigere provvedimenti che rispondano alle attualizzate necessità di una società civile.
Lascio correre il giudizio sulle singole espressioni in merito ai vari quesiti referendari, falso moralismo, bigottismo, perbenismo ed altro, annacquano ogni decisione in questo Paese.
Resto sul dovere della rappresentanza. Si ricorre allo strumento del referendum, peraltro solo abrogativo, quando alcuni temi, solitamente di tendenza del momento sociale, non trovano soluzione attraverso le decisioni del Parlamento.
Novecentoquindici eletti dal Popolo non trovano un’intesa comune in grado di dare risposte all’Italia della gente. I casi sono sempre due, o siamo in periodo elettorale e porre in agenda certi temi metterebbe a rischio consenso oppure, i lavoratori delle varie Commissioni scrivono, leggono, ascoltano i lobbisti travestiti da consiglieri e si affossano reciprocamente nelle discussioni senza giungere ad un testo presentabile in Aula.
Intanto i mesi passano e gli anni pure. Incapaci? Codardi? Figli di interessi privati? Forse l’insieme di tutto questo. La situazione a volte sfugge di mano, ogni cambiamento sociale è figlio del suo tempo e posticiparlo “ ad aeternum” direbbero i latini, non preserva, prima poi accade.
Tra le righe, anche la Corte di Cassazione ogni tanto lascia intendere che in quelle stanze sono degli incapaci, quando interviene sostituendosi al Parlamento che deve legiferare. Ognuno sulle proprie barricate.
Indire un referendum, arrivare alla raccolta firme e farlo approvare per la consultazione costa in termini di impegno e denaro, e diventa pubblico quando si deve votare. Quanti soldi a volte buttati.
Il peggio è che alcune volte il Popolo italiano ha pure votato scegliendo e a distanza di tempo quella decisione è stata calpestata. L’apoteosi si raggiunge nel 1993 quando gli eletti dei Consigli Regionali di Trentino-Alto Adige, Umbria, Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Marche, Basilicata, Toscana, ed Emilia-Romagna, decidono che il Ministero del Turismo venga soppressò.
Capito bene? Un patrimonio economico nazionale. Infatti venne chiuso per essere riaperto nel 2021 su decisione di Mario Draghi che di economia ne capisce qualcosa.
Letta fa sorridere quando dice che non decide sui referendum perché il luogo naturale per decidere è il Parlamento, e fino adesso perché non l’hanno fatto?
Del resto la casa della democrazia italiana da tempo si è trasferita al Quirinale, per fortuna, ma anche, purtroppo alla Presidenza del Consiglio.
In soli cinque mesi nel 2021 il Governo Draghi ha emanato 21 decreti legge, ma il suo predecessore aveva fatto ben peggio, lasciando a Deputati e Senatori disoccupati più tempo per trovare soluzioni ad altri problemi, giustizia, pensioni, fine vita, cannabis…evidentemente hanno avuto altro da fare.