L’invasione in Polonia è qualcosa di recalcitrante, l’ultima nel 1939 a causa nazista, un gene d’insofferenza in grado di risvegliarsi ad ogni movimento sospetto ai propri confini.
Gente buona i polacchi, determinati e capaci di sfinirsi di sacrifici fino ad ottenere ciò che vogliono, lo dimostra il fatto che in venti anni siano divenuti un Paese economicamente florido, capace di attrarre investimenti da tutto il mondo, di formare classi dirigenti di livello attraverso Università eccellenti.
Nonostante questo, hanno imparato negli anni a dosare l’ambiguità a proprio vantaggio come pochi altri.
Come la brace, la diffidenza mista a rancore è ancora lì verso i tedeschi, ma se si tratta di affari commerciali, formare i i figli nelle Università o lavorarci per guadagnare di più allora si può chiudere un occhio.
Coi russi è diverso, si tratta di un odio istintivo, generato dai troppi anni di reclusione in una cortina di ferro mai sopportata, quel maledetto muro, in piedi fino al 1989, un muro che li faceva sentire isolati, di appartenere, secondo il loro modo di pensare ad una sottospecie umana penalizzata, forzatamente obbligata a non poter evolvere nella libera espressione, culto religioso o economia liberale.
Sono da sempre prevalentemente cattolici, fino a pochi anni fa un dogma di appartenenza, l’ancora di speranza e salvezza dal purgatorio nel quale erano storicamente collocati.
Quel muro è poi crollato, e l’euforia di libertà e benessere ha preso il sopravvento, han fatto valere la privilegiata posizione centrale nel continente europeo, e la capacità di marketing l’ha resa un Paese democratico di riferimento.
Quando però si tratta di accogliere e condividere leggi comunitarie, torna l’istinto nazionalista nonostante i milioni di euro ricevuti in grado d’averla resa grande.
Ora la tragedia umanitaria e la crisi politica innescata con la Bielorussia, le fa decidere da dicembre di erigere la costruzione un muro di 180 km al confine.
Tutto tace, a parte le preoccupazioni di ipocrita circostanza dell’Unione, quando tocca all’Italia siamo i disumani della civiltà.
Eppure la Chiesa che loro osannano da sempre, chiede misericordia verso i più deboli, la stessa che loro chiedevano ai romani negli anni ’80 quando emigravano di stenti facendo i lavavetri ai semafori, protetti da Woityla, altri tempi.
La memoria è corta, direte voi, non proprio se guardiamo la storia.
Giovanni Paolo II nell’enciclica Ecclesia in Europa, parla di integrazione possibile per i migranti ma, ad alcune condizioni:” E’ responsabilità delle autorità pubbliche esercitare il controllo dei flussi migratori in considerazione delle esigenze del bene comune, salvaguardando il patrimonio culturale di ogni Nazione.
Esatto! Una misericordia a tempo e ad personam, quando serviva a loro lecita e dovuta, per tutti gli altri meglio un solido muro.