A prescindere i proclami, in parte giustificati della sinistra che centra l’obiettivo di governare alcune tra le più importanti città d’Italia, credo, il vero protagonista di questa tornata elettorale amministrativa sia stato l’astensionismo.
È un dato ambiguo, si presta a differenti valutazioni ma non positive nello spirito della partecipazione democratica.
Partiamo da una valutazione squisitamente politica che ha visto sconfitta la linea del centro destra.
Le baruffe sulla scelta di candidati mediocri, lontani dalla capacità mediatica di Salvini, Meloni e Berlusconi e i ritardi nelle ufficiali partenze delle campagne elettorali non ha pagato.
Gli elettori di centro destra hanno percepito le divergenze e le faide interne alla coalizione. Salvini, affannosamente sempre alla rincorsa della manciata di voti da sottrarre a Fratelli d’Italia, unitamente alla protezione dell’immagine di leader incontrastato, ha confuso perdendo appeal, ma forse anche la perenne ambiguità, sicuramente discutibile per un politico, di essere uomo di governo ma nello stesso tempo anche opposizione.
Berlusconi ha tentato con Giorgietti di riposizionare al centro moderato i leghisti favorendo un possibile successo, ahimè sottovalutato da Salvini. Ora la resa dei conti nel probabile congresso di fine anno.
Il Partito democratico vince senza i cinque stelle, si riprende una parte di elettorato emigrato in casa grillina ma non ha pace interna, divergenze, confronti serrati e poi le mille fratture di correnti, pronte a rifarsi vive nelle vicine danze del Quirinale dove, dietro l’angolo Renzi schiera un esercito di invisibili cecchini.
Questo è un Paese moderato, l’assolutismo, l’eccesso di populismo quanto la violenza verbale e anche fisica espressa in parte, senza senso dal popolo no vax e da chi a flirtato con loro, non funziona.
Comanda ancora una generazione cattolica simil ecclesiastica nella schizofrenia etico decisionale, una radice democristiana ancora nel DNA, dove mediazioni e compromessi sottovoce vincono le partite importanti.
Polonia, Ungheria, Turchia e Cina, non sembrano attrarre entusiasmo nella pancia elettorale italiana che vuole stabilità e una politica in grado di tutelare gli interessi senza applicare troppi doveri, da quelli fiscali a quelli dei controlli.
Quel dato impressionante di astensionismo riporta all’insofferenza di periferie dimenticate, a delusione per cinque stelle finite nelle stalle per l’assurda convinzione che ideologie diverse potessero convivere dentro un unico movimento ma anche all’impressione che le gesta dell’attuale classe politica in generale, assomiglino sempre più a quelle dei concorrenti del Grande Fratello, dove i colpi di scena creano audience per finire poi in nomination e dove i migliori sono quelli che parlano poco muovendosi sotto coperta e tessendo trame.