Mi percepisco in generale come un moderato, uno di quelli a cui piace prestare attenzione alla scelta delle parole, specchio dell’identità eppure, adesso mi sento di trasgredire.
Capita, quando non rintracci più sostantivi adeguati alla moderazione e arrivi come oggi ad usare “infamia” per definire una vile notizia che giunge dalla Corte di Cassazione.
Mi riferisco alla decisione per cui le mance dei lavoratori vanno considerate a tutti gli effetti come facenti parte del reddito e per questo, sottoposte a tassazione. Capite bene a quale livello siamo arrivati.
Ora si apre l’obbligo di pagare al fisco anche le mance. Non importa che il caso sia partito da mance acquisite da un concierge in un hotel di lusso in Costa Smeralda per 80 mila euro in un anno e poi versate in banca.
La decisione si concentra sul concetto che il reddito da lavoro dipendente giustifica la totale imponibilità di tutto ciò che il dipendente riceve, anche, non direttamente dal datore di lavoro, ma sulla cui percezione il dipendente può fare, per sua comune esperienza, ragionevole, se non certo, affidamento.
Partiamo dalla base e consideriamo che non tutti lavorano in Casinò, in hotel a cinque stelle in località da sogno, ristoranti stellati o a bordo di yacht al servizio di star o miliardari.
Penso alla massa di semplici camerieri, concierges, colf e via discorrendo, gente semplice che arrotonda uno stipendio di modesta entità e che di certo non può fare affidamento sulle mance extra per pianificare i propri impegni economici.
Altrettanto, a tutti coloro che operano in città di notevole flusso turistico e i cui titolari restringono le maglie dello stipendio proprio in considerazione della prevista integrazione di mance, vorrei essere smentito ma non credo accada.
Esiste poi il dubbio di come sia arrivata al fisco la notizia che il dipendente abbia percepito quel denaro aggiuntivo dai clienti che, resto del parere, in piena disponibilità e soddisfatti del servizio o privilegio esclusivo ricevuto, sono liberi di ringraziare chi vogliono.
Ovvio, dai miserabili delle banche che, trovano ingiustificato un versamento fuori luogo, magari una donazione, vincita o come in questo caso mance, solo per uno povero Cristo e soprassiedono su operazioni ambigue di milionari.
Infine vi è una zona d’ombra ancor più degna di attenzione: sarà mai possibile giungere alla tassazione dei cinquanta o cento euro, ammesso che si arrivi a queste cifre in modesti contesti lavorativi, quando i titolari sorvolano alla grande su ricevute e scontrini fiscali anche e soprattutto quando i clienti sono esclusivi e fidelizzati?
Mi vien proprio da sorridere e penso che ancora una volta in Italia il gigante abbia partorito un topolino, peraltro scaltro e imprendibile, alla faccia dell’infamia.