Un mondo ammattito. Una società che nell’irresistibile ricerca del tutto accontenti tutti senza offendere nessuno, rischia di comporre una confusione globale.
Mi riferisco ad esempio alla distruzione di statue e monumenti visti come simbolismo storico in America, Francia e Gran Bretagna. Fatti che risalgono ai primi vent’anni del novecento, dove imperava la riscoperta della supremazia bianca.
Andiamo da George Washington perché proprietario di schiavi a Cristoforo Colombo senza capire la correlazione, arrivando a Churchill la cui statua è stata imbrattata nella piazza di Westminster.
Questo, nonostante siamo tutti consapevoli che errori vi furono ma è necessario ricondurne le gesta alla mentalità del tempo.
Mi sposto poi sul fronte della pura dialettica quella che a volte sfocia nel quotidiano intercalare. Certi giorni restiamo tutti basiti dai polveroni esibiti da stampa e tv, per parole pronunciate da calciatori, attori, politici, cantanti o altro genere di categoria VIP, quasi sempre estrapolate a dovere.
Basti dire qualcosa che abbia a che fare con l’orientamento sessuale o la razza per essere classificati come razzisti o omofobi incalliti quando non lo siamo. Un’esagerazione che rattrista.
Siamo arrivati a far cambiare nome a prodotti alimentari, vini, torte perché per assurdo ricordano dispregiativi di razza. Pensiamo ai moretti di pasticceria o al Negroni aperitivo, quando lo ordino abbasso la voce evitando insulti. Preoccupazione per la birra Moretti, il vino Negroamaro o il Montenegro.
La Haribo ha dovuto abbandonare la produzione di quelle saporitissime liquirizie testa di moro con la rappresentazione di maschere tribali africane che con cinque lire comperavi all’oratorio e mangiavi senza pensare di insultare chicchessia.
L’ultima sotto tiro è la torta di mele e la tovaglia a quadretti bicolore. Sono condannati come elementi «schiavisti» perché simboleggiano la tratta degli schiavi e il genocidio di milioni di indiani e africani sradicati dalle loro terre e costretti a lavorare in condizioni disumane nelle piantagioni di canna da zucchero e di cotone.
La confusione dilaga anche nell’abbigliamento, dove la libertà d’espressione identitaria crea abominevoli mix di gusto ricondizionando identità da sempre definite.
Ora arrivano anche i profumi ad abolire la scritta pour femme o pour homme. Fine della seduzione?
Domanda: se tutto questo dovrebbe aiutare una minoranza di cui faccio parte a trovare una propria identità confusa durante adolescenza e gioventù, quando invece l’identità è certa non si rischia di metterla in crisi con riferimenti oramai troppo fluidi e indiscutibili?
Fino a che punto devo adeguarmi per non sentirmi escluso da cambiamenti sociali che ritengo discutibili?
Non basterebbe lasciare le cose come stanno rinunciando a che tutto sia privo di punti di riferimento?