Tra una manciata di ore riprenderò i servizi d’opinione per RCI Radio, l’emittente dove quarantaquattro anni fa iniziai a dar forma alle mie passioni, al sogno di un adolescente “fuori dal coro”.
Erano gli anni ’70, dove ideologie contrapposte incarnavano violenza e i pochi soldi accendevano la volontà del fare. La musica collocava in un limbo sereno fuori da combattimenti fisici e morali, un pò come la Svizzera nel mezzo delle guerre.
Rosso, esile, perdutamente timido e ancora inconsapevolmente gay, la musica prima e la radio poi, si posero a gamba tesa in quella crescita tumultuosa fatta di tante ombre. Vincere o morire!
Quegli afosi primi pomeriggi radiofonici estivi in collina dentro quattro pareti, un tavolo, due giradischi e un mixer, mi facevano sentire sul palco del mondo. Sudavo emozionato che qualcuno ascoltasse la mia voce prestando attenzione alle mie parole.
Imparai velocemente a capire che quel mezzo azzerava la fisicità valorizzando capacità, passione e competenza. Le poche ore diventarono mezze giornate e poi mesi, anni dedicati a selezionare musica, inventare programmi, stimolare il mezzo per una costruttiva integrazione sociale col territorio.
Chi ascoltava divenne il mio punto di riferimento. Ovunque nel mondo non ho mai perso l’abitudine di sintonizzarmi. Devo tutto alla radio.
Quando devo prendere la parola di fronte a personaggi importanti, situazioni difficili, affollate conferenze o semplici aule scolastiche, i pochi minuti che precedono l’inizio, raccordano nel tempo a quell’”on air” che la regia segnalava al di la del vetro; da quel momento la maledetta timidezza lasciava spazio al protagonista vincente.
Dietro ore e ore del fare radio, cresce l’arte dell’improvvisazione, della capacità di sostenere spregiudicatamente una conversazione incolore, di colmare silenzi imbarazzanti o catalizzare l’attenzione per proporre qualcosa di utile.
La radio unisce dove la televisione divide, libera dove la televisione impedisce, penetra con musica e parole rendendo meno ruvida la solitudine o sollecita l’allegria di gruppo.
La radio spoglia di ideologie, fedi religiose o diversità varie, lavorandoci, tutti pensano ad una cosa in comune: la musica e gli ascoltatori.
Passano gli anni e ancora in mezzo a molti, distinguo sempre qualcuno che ha fatto o fa radio, il suo modo di parlare è trascinante, cattura l’attenzione e coinvolge.
Non smetto mai di ringraziare amici e colleghi che nel tempo mi hanno insegnato il mestiere, come qualche anno fa, dove la tecnologia impadronendosi delle procedure, ha radicalmente cambiato il modo di gestire un programma e un giovane talento di RCI Radio, l’amico Davide Munari, armato di pazienza e generosità mi ha nuovamente formato permettendomi così di tornare a trasmettere e divertirmi.
Questa è la radio, queste sono le persone che vivono attraverso di lei. Per tutto ciò non sento il trascorrere del tempo perché in fondo, resto perennemente connesso con la vita.