Era il 1993. A Roma ero molto più giovane e dedito alle vicende politiche italiane. L’aria che respiravo, non quella della capitale ma politica, era già allora stantia, pesante , insomma mi capite se siete entrati di colpo in uno di quei locali pieni di fumo e odori di cucina pesante. Un fatto ristabilì il mio entusiasmo e la convinzione che qualcosa, un giorno remoto, forse avrebbe potuto cambiare anche da noi. Dal profondo anonimato di un piccolo Stato dell’America, altrettanto anonimo ai più, e situato a sud del Paese, l’Arkansas, un Governatore di bella presenza, tale William Jefferson Clinton per i più “Bill” era divenuto il 42° Presidente degli Stati Uniti d’America. A soli 48 anni, l’uomo più potente del mondo. Accanto a lui una giovane moglie e una meno bella figlia. I giornali americani e non solo, dividevano i loro commenti, tra la sua simpatia e immagine di uomo sexy e la First Lady : l’avvocato Hillary Diane Rodham Clinton, uno dei cento più bravi d’America. Ogni volta apparivano in tv o servizi dedicavano a loro spazio, ne ero estasiato, catturato dall’eloquenza di questo giovane Presidente e dal magnetismo carismatico che emanava il suo livello tecnico di comunicazione. In poche parole, nonostante il dileggio di amici e colleghi, sul mobile del soggiorno di casa mia vi era una piccola cornice che conteneva questa foto : per me rappresentavano il cambiamento , la capacità di una Nazione di rinnovarsi attraverso i propri rappresentanti politici e il fatto che questi fossero di età così giovane mi
regalava sensazioni da supereroe. Qualcosa di strano però c’era, ed era il fatto che ad attirare la mia attenzione, ma come ho detto anche quella dei media mondiali, fosse anche la sua giovane moglie. Non aveva solo la stoffa della First Lady, ruolo sacro agli americani dopo il mito di Jacqueline Kennedy, ma lasciava intendere di poter essere altro e soprattutto fare altro. Fu l’inizio di un amore-odio del Paese, verso quella donna che oggi, grazie a determinazione, capacità, intelligenza e anche ambizione, potrebbe diventare la prima donna Presidente degli Stati Uniti d’America. Lasciamo che la penna vada avanti negli anni e arriviamo al 2008. Mi trovavo in America per lavoro e formazione a New York. Senatore di quello Stato era Hillary Clinton. Nonostante i rumors fossero sempre più forti e certi, la notizia li scavalcò come un lampo e la candidatura di Hillary divenne realtà. Ex First Lady, partito compatto con lei e il clan, nel senso buono, del marito, finanziatori molti… la gara si prospettava una discesa libera, Tra i rivali però un certo Barak Obama di Chicago, anch’esso avvocato, iniziò ad essere appoggiato e soprattutto mitizzato dai media ma ancor più dai social, prematuri di una forza comunicativa e quindi di potere, ma già incisivi. L’ambizione della Signora Clinton, dovette cedere al rinnovamento e al significato democratico di un primo Presidente afro americano. Quello della sconfitta, fu un discorso memorabile, in cui tutte le doti e capacità intellettive di Hillary vennero fuori scatenando nello stadio prescelto standing ovation a non finire. Divenne Segretario di Stato, ed io, nel frattempo, un semplice presidente di un’associazione a favore dei diritti umani LGBT. Avendo fatto per tre mesi il supporter presso la comunità italiana in America, chiesi ad amici in comune del portavoce un aiuto per il progetto internazionale che stavo organizzando. In un mese ricevetti tutto quanto necessario per incontrare nel mondo i presidenti delle varie Associazioni Lgbt e divenni volontario della Human Rights a New York per missioni umanitarie nel mondo. Un sogno! Non ho mai smesso di ringraziare lei e il suo straordinario staff. Poi il silenzio, una biografia e l’infinita speranza che un giorno decidesse di ricandidarsi.
Ed eccoci qua. Fine ottobre 2016, pronto a rifare le valigie e a vivere nel cuore della politica americana. Da quando Hillary ha annunciato la sua candidatura, non ho mai smesso di attuare il mio volontariato presso gli italiani d’America e a sorpresa, pochi mesi fa, ho ricevuto l’invito a recarmi a Brooklyn, quartier generale, proprio per la settimana finale. Lascio a voi immaginare non solo l’emozione, ma anche professionalmente, quanto ricaverò da questa esperienza.
La condividerò con voi , attraverso questo blog, corrispondenze nei TG della televisione della mia città e articoli che invierò a quotidiani e settimanali.
Mai smettere di credere ai sogni …e dopo aver vissuto la notte dell’elezione del primo Presidente afro americano , partecipare all’elezione (forse) della prima donna Presidente e anche mio personale mito
… è toccare il cielo con un dito , sì proprio come all’ingresso del porto di New York, la Statua della libertà alza orgogliosa la sua fiaccola .