Dopo la pandemia, è opinione comune che le persone a livello globale si siano impigrite, siano sempre più restie a socializzare o uscire in contesti comuni, privilegiando ossessivamente i servizi che il business sforna a ritmo isterico.
Gli italiani sono sempre più in sovrappeso (il 12% della popolazione, quasi 6 milioni di adulti, è obesa e, complessivamente, il 46,2% di chi ha più di 18 anni è in eccesso ponderale) e poco attivi, con più di un terzo delle persone che ha dichiarato di non praticare sport o attività fisica nel tempo libero È il boomerang psicologico che ci siamo creati, illudendoci di vivere una vita migliore, ma che, a ben vedere, finisce per demolire quanto idealizzato.
Leggo però, che società come Glovo e Deliveroo hanno perdite miliardarie, nonostante parte dei loro guadagni siano fatti sullo sfruttamento delle risorse umane. Ma riavvolgiamo il nastro con degli esempi.
Prima ci hanno ipnotizzato facendo provare, a chi vive in località di provincia – loro erano il target migliore – l’eccitazione di acquistare ogni cosa nei centri commerciali; nel frattempo, migliaia di piccoli negozi in ogni paese chiudevano.
Una volta fatta terra bruciata, per non farci sentire il disagio di scendere sotto casa e non poter avere ciò che desideravamo, giocando quindi sulla soddisfazione immediata, ecco arrivare Amazon, il Dio di tutti i pacchi, che allevia le nostre pene.
Ma visto che il gioco funziona, approfittando del Covid, nascono i servizi a domicilio per qualunque necessità, e come non partire dalla cosa più ambita e consumata: il cibo. Restiamocene comodi sul divano e fast food o ristoranti arrivano a casa nostra con poca spesa.
Ogni categoria merceologica si organizza, le vendite online decollano perfino con l’abbigliamento, il più malvisto dagli italiani. I supermercati non solo ti recapitano tutto a casa, ma puoi ordinare online e ritirare al locker senza perdere tempo. Dal parrucchiere alla sarta, dallo chef a domicilio ai prelievi medici, per finire con le follie del personal shopper, personal trainer, dog sitter o professional organizer.
Ma la domanda è: “C’è qualcosa che abbiamo ancora voglia di fare o ci siamo rimbambiti?” Ognuna di queste cose ci porta a comodità che ci isolano dagli altri; anche il cinema, che era un momento di condivisione, oggi è superato dalle molte piattaforme di streaming.
Ognuno di questi servizi, guarda caso, viene gestito solo da app e smartphone, promotori dell’isolamento sociale; nel frattempo, le condizioni motorie, fisiche e psicologiche peggiorano.
Resta da capire se i miliardi di debiti delle società di delivery provengono da un nostro risveglio consapevole o da loro dipendenti che li hanno salutati con un vaffa.
Un articolo straordinario, espressione di una personalità dell’autore sensibilità, di grandissimo livello culturale e sociale, capace di cogliere, financo in apparentemente irrilevanti pieghe della vita collettiva, aspetti di importanza essenziale per la persona umana e per lo sviluppo dell’individuo e della società.