Scrivo del Festival Sanremese citando lo scultore Giacometti: “Si lavora per sorprendere, altrimenti ci si ripete”.
Nel campo radio televisivo degli ultimi cinquant’anni l’unicum in tal senso si chiama Renzo Arbore, tutti gli altri, da Baudo alla De Filippi e company, Amadeus incluso, prediligono il lecito fascino del denaro e dell’auto-celebrazione perenne, una dipendenza patologica dalla telecamera.
Il punto però, non è l’insostituibile e costante presenza ma i format e i contenuti rappresentati. Forse Amadeus, persona intelligente e capace, avrebbe voluto fermarsi prima, l’afflosciarsi del gradimento l’aspettava dietro l’angolo insidioso ma gli acclamanti costituiti a casta, discografici, radio e web radio, social e stampa l’hanno fatto desistere.
Ad oggi, è mancato quel guizzo di novità, sorpresa e fors’anche l’entusiasmo ormai spento dei protagonisti. Dai cantanti, eccezzion fatta per i giovanissimi, agli orchestrali ma anche gli stessi Amadeus e Fiorello.
Chi è del mestiere riesce a leggere sul volto quando l’entusiasmo prevale sulla fatica, quando intonazione e paraverbale risentono di forzatura anziché naturalezza.
Di certo i social hanno elevato alla massima potenza il circo mediatico, e l’astuzia del direttore artistico di svecchiare il cast ha contribuito ad appellare come gigantesco quest’evento annuale.
Dal primo festival targato Amadeus ad oggi, discografici, radio e direttore hanno compreso che tanto più i brani sono ritmati con ritornello format tormentone, tanto più ritorno commerciale avrebbero avuto. Questa focalizzazione però, a mio modesto parere, ha penalizzato fortemente la presenza di brani di qualità in musica e testo. Ne trovo traccia nei Negramaro, Diodato, Fiorella Mannoia o Mahmood, Ghali e Irama.
Delle canzoni fortemente ritmiche con ritornelli a presa, si celebra il gradimento perché orecchiabili, per la facilità con cui si possono canticchiare, cosa diversa dal definirle qualità artistica.
Tornando alla manifestazione che dire della continua infruttuosa necessità di creare gag autorali mal recitate, che imbarazzano chi ascolta e chi le interpreta davanti a milioni di persone? Monologhi su temi etici e sociali che accomodano la coscienza di chi li propone senza che abbiano incisività nel reale. Location esterne, interruzioni, e sfinimenti verbali per ascoltare 30 brani.
Null’altro da dire. Nell’interesse della musica, speriamo si volti pagina e direttore.