Leggendo ammutolito le cronache degli ultimi mesi, mi capita spesso di ripensare al Vangelo di Luca: “A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. Dà a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro.”
E mi chiedo, quanto oggi più di ieri, possa ancora essere un valore, un insegnamento da tramandare a chi ci vive accanto ma anche a coloro che condividono il posto di lavoro o il tempo libero.
Qual è la sottile linea di demarcazione che indica dove finisce il saper perdonare e l’inizio del soccombere a vita?
Non riesco a mettermi la maschera del buonista, neppure quello del pensiamo positivo, i numeri, i fatti, sono lì a menare forte e chiaro un messaggio: siamo evoluti in una società che ha accentuato la violenza in ogni sua forma.
Quella fisica fatta da femminicidi, da barbari assassini per rapine, spaccio, vendette o ragioni politiche ma anche per una banale lite condominiale o un diverbio in auto.
Quella verbale è la più potente, in grado di generare attraverso aggettivi e insulti, vere e proprie risse spedendo i contendenti in ospedale o in sala rianimazione. Una facilità di aggressione che prevarica il comune senso di rispetto inculcato per anni dalle generazioni precedenti.
Ascoltiamo bambini, figli, che rispondono a tono minaccioso o umiliante a genitori sulle barricate per replicare negli anni dentro aule scolastiche con docenti impotenti, poi dentro università e posti di lavoro.
Quella verbale è sdoganata perfino nella televisione che camuffando il principio di confronto democratico, scorda quello civile, promette audience ma soprattutto soldi a chi la produce.
Oggi sarei un padre preoccupato nell’insegnare ai miei figli il porgi l’altra guancia, saprei di mentire mentre là fuori mi avvolgono nella totale indifferenza sociale, maleducazione e ignoranza.
In una società dove il “mors tua, vita mea” è il mantra dominante, il buonismo trasforma in semplici sprovveduti.