La fine degli anni’70 ha stabilito l’inizio progressivo e silenzioso di un morbo etico che ha contaminato la società. Il sintomo più grave era ed è tutt’oggi, il dare tutto per scontato. Significa, essenzialmente: non soffermarsi a riflettere su nulla.
Dare le cose per scontate è quasi naturale, fa parte del “programma risparmio” del cervello, che cerca sempre il modo più veloce ed economico per risolvere ogni situazione.
Questo atteggiamento ha indotto indolenza cerebrale verso tutto ciò che creava disturbo alla nostra quotidiana zona di conforto.
L’iniezione più forte giunse negli anni ‘80 con lo slogan della “Milano da bere”, un’insolita energia che vide come epicentro il malcostume politico, ci investì con un liberi tutti.
Quegli alti muri etici costruiti da valori sperimentati, custoditi e tramandati dai nostri nonni e padri, d’un tratto subirono derisione, vennero visti come vecchia chincaglieria di cui liberarsi.
Era l’inizio della fine del buon senso applicato nelle mille azioni quotidiane in ambito famigliare, scolastico, religioso, politico ed anche economico, pensiamo ad esempio a quali eccessi si affrancherà la finanza speculativa agli inizi degli anni 2000.
Il “tutto e subito” come pure il “faccio come credo e nessuno mi dica qualcosa” sono la maggior parte dei nuovi valori nell’educazione.
Anche se abbiamo le pezze al culo e acquistiamo a rate, abbiamo indossato l’abito della peggiore borghesia senza esserlo. In vacanza ho assistito a scene deliranti solo perché i camerieri tardavano con la portata o non c’era troppo ghiaccio nella bibita. Tutto è dovuto è il nuovo prologo ai comandamenti esistenziali.
Siamo talmente assorti dalle belle abitudini che abbiamo perso il senso del valore dell’impegno e sacrificio che ha permesso arrivassero fino a noi. L’acqua non smette di correre nei rubinetti delle case e delle aziende, come pure la luce giorno e notte, pane, carne, latte, verdura e frutta ma anche pesce sono a portata di frigorifero a qualunque ora. Acquistiamo senza regole e accumuliamo.
Non ce ne siamo mai resi conto, perché l’unico vaccino che ci avrebbe aperto gli occhi erano le parole di chi ci ha preceduto e non c’è più ma anche i tanti libri che creano in un popolo cultura etica.
Ora, tuoniamo impauriti come conigli all’idea di spegnere le luci quando usciamo da una stanza o un ufficio, o lavarci in tre minuti anziché in dieci, lavare piatti o indumenti qualche volta a mano o indossare una maglia anziché il comodo pigiama serale per uno o due gradi in meno di temperatura.
La colpa è della politica, dell’Unione Europea o di Putin, nessuno pensa che questi erano “privilegi” acquisti e in quanto tali andavano protetti con la cultura della sola esistenza nelle nostre giornate.
È come la libertà, da quella di parola a quella di Stato sovrano, c’è e potrebbe non esserci domani, chiediamolo a chi vive in regimi autoritari.
Mi spaventa questa indifferenza al diritto a votare. Allora mi chiedo se abbia ragione Eric Fromm quando afferma: “L’uomo crede di volere la libertà. In realtà ne ha una grande paura. Perché? Perché la libertà lo obbliga a prendere delle decisioni, e le decisioni comportano rischi;” e noi italiani siamo affascinati da chi esercita con determinazione il potere che gli abbiamo imprudentemente delegato.