A causa di qualche cretino, il sano attivismo di molti, fautore di un migliore rispetto per diversi e minoranze, viene oscurato.
È un paradosso che chi lotta per veder difesi i propri diritti, leda volontariamente quelli di altri. La mancanza di rispetto per l’altro non porta con sé cose positive e la comunità LGBT+ dovrebbe ben saperlo.
Bastano pochi secondi di un’autentica sacrilega pagliacciata, spacciata volgarmente come espressione di libertà, per portare alla ribalta solo il lato oscuro della comunità, quello che certa politica e opinione pubblica insiste nel far vedere per poi tacciare di immondo, trasgressivo e innaturale.
Nella comunità stessa ci sono da anni visioni differenti soprattutto sulle rappresentazioni dei gay pride.
Per alcuni, che lo ricordo hanno gli stessi diritti di opinione della maggioranza, l’ostentazione provocatoria aveva radici storiche profonde, la necessità di uscire dai ghetti e dal buio di locali e vite clandestine.
Oggi, chi si ritiene soggetto civile, resta ad ascoltare, entra nella discussione, cerca attraverso il confronto di comprendere le richieste della comunità, non ha bisogno di essere attratto dalla spettacolarizzazione e le nuove generazioni sono evolute, poco si pongono il problema, parlano di fluidità.
Una festa così ricca di valori e significato non può essere solo provocazione e ben lo sanno le migliaia di giovani e famiglie che scendono nelle piazze civilmente.
L’omofobia per essere combattuta ha bisogno della scuola, di genitori liberi da pregiudizi e meno ignoranti, di una politica coraggiosa e allineata col tempo.
Ha bisogno di parlare con la voce dei sentimenti, del cuore, perché amare non è un diritto di qualcuno ma di ogni essere vivente e contaminare la forza di amori diversi riconducendoli sempre e solo alla visione sessuale, finisce per stimolare pregiudizio e condurre al ribrezzo demolendo quello che davvero conta, ovvero l’amore.
Quel manichino travestito da Madonna portato per le vie di Cremona non aveva alcun senso se non quello di offendere e allontanare chi non vede di buon occhio gay e i loro diritti, certificando a chi li odia quanto sia giusto e sano combatterli.
È la festa di un orgoglio e tale deve essere, quello di esibire l’impegno nelle attività delle associazioni, l’attivismo come partecipazione, il volontariato, la politica, l’arte, lo spettacolo, lo sport, la cultura. Noi, siamo anche quell’Italia, non quella innaturale e insana in cui alcuni ci identificano.
Per essere noi stessi sentendoci orgogliosi dobbiamo imparare a non farci del male, e episodi come quelli di Cremona bene non fanno.
Proviamo a smettere i panni delle vittime ogni tanto, a considerare quanto non sia più negata la nostra visibilità, e quanto alcuni diritti esistano e per altri dovremo lottare per averne.
Basta una frase sbagliata di chicchessia pubblico, dubbia o estrapolata da un contesto generale contro i gay ed ecco scattare un processo mediatico con tanto di purga sociale.
A Cremona è stato fatto qualcosa di sbagliato e chi parla di diritti, soprattutto li propaganda per trarne un vantaggio politico, ha perso la voce ma anche la penna e chi presiede i comitati, avrebbe dovuto proibire tanta vergogna.