Durante una delle visite al confine Ucraino, oltre alla questione umanitaria, mi è apparsa agli occhi anche quella logistico economica.
Per fare la foto che vedete, sono stato trattenuto per oltre un’ora appoggiato al cofano dell’auto mentre quattro poliziotti mi perquisivano zaino, cellulare e tablet. Essendo zona di confine non di rado vi sono contrabbandi ma anche il sospetto di qualche spionaggio. Incomprensibile, mi sono solo fermato a bordo della strada transennata in vista delle barriere.
La realtà è che il conflitto e le sanzioni hanno creato una paralisi alla logistica europea ma anche dell’Asia centrale. I camion che vanno in Russia sono pochi, sia per i tempi di percorrenza infiniti sia perché è impossibile trovare carichi di ritorno. Problema autisti: Ucraini e Moldavi non vogliono viaggiare in Bielorussia e Russia e quindi per questi trasporti si ricorre agli italiani, ungheresi, polacchi e serbi. Senza contare a volte presidi di manifestanti al confine per impedire di portare merci in Russia.
Il flusso di auto e trasporto merci in partenza dall’Ucraina è rallentato, ma camion e furgoni fanno la fila per diversi chilometri per attraversare il confine in territorio ucraino, trasportando bestiame, droga, aiuti umanitari e beni di prima necessità per la popolazione e i soldati. Il 90% dei camion che entrano in Ucraina trasporta aiuti umanitari e al massimo il 10% dei veicoli trasporta merci per rifornire i supermercati. I camion merci che lasciano l’Ucraina lo svuotano, non esportano più merci ucraine,
Voglio ricordare che prima che il commercio con l’Ucraina fosse paralizzato, il Paese era un fornitore leader di olio di girasole, cereali, carne di pollo e mais, ma la guerra renderà impossibile seminare sulla terra ucraina nel prossimo periodo, una mancanza di raccolto che avrà un impatto non solo sugli affari ucraini, ma anche nei prezzi di questi prodotti nel resto d’Europa.
Mi è stato detto alla frontiera che sebbene la mancanza di corridoi umanitari e l’intensificazione dei bombardamenti abbia ridotto il numero di arrivi in Polonia, questa settimana il passaggio da una parte all’altra del confine ha avuto un ingorgo di 30 chilometri di coda. Dall’inizio della guerra, più di 214.000 persone e 16.000 veicoli hanno attraversato il passo di Korczowa.
Oltre ai camion che arrivano da altri Paesi europei direttamente in Ucraina, qui in Polonia giungono anche enormi quantità di aiuti umanitari per i rifugiati che arrivano nel Paese in cerca di una casa temporanea, o da selezionare e condividere.
Ci sono esigenze primarie, mi hanno detto alcuni abitanti di Korczowa che accolgono le voci dei profughi, il blocco logistico impedisce la consegna della la biancheria intima ai soldati ucraini per sopperire alla mancanza di docce al fronte, gli ansiolitici per calmare l’ansia di difendere un Paese in guerra e il cibo in scatola da mangiare sul campo di battaglia.
Ma torno alla questione umanitaria. Oggi ho visitato uno dei punti più attivi in termini di raccolta materiale, distribuzione e accoglienza profughi, il Centro Wielokulturowe di Cracovia. Li scaricano da autobus, pulmini o arrivano con macchine impolverate dopo km nella speranza di mettersi in salvo.
Nonostante i giorni passino e le settimane pure, quando arrivo, fuori ci sono almeno cinquanta metri di coda, sono tutti in fila straziati e tengono il passaporto ucraino in vista per essere accreditati al Centro.
Comincio a farci l’abitudine ai loro sguardi, alla sofferenza ma la cosa che più mi colpisce oggi sono i volontari, non solo ragazzi e cittadini di Cracovia ma anche provenienti da aree rurali, paesi di campagna da nord a sud.
Mano a mano che mi faccio strada per scambiare qualche parola, fotografare e conoscere storie, incontro un ragazzo di Besancon paese al nord est della Francia o un palestratissimo e sorridente Nick che arriva dal Missouri, un londinese, due ragazze, una olandese e l’altra brasiliana. Sono straordinariamente gentili con tutti, alcuni di loro portano la spilla di Amnesty International al giubbetto.
Mi muovo da solo all’interno senza distogliere chi lavora, passo da una delle stanze dove i rifugiati vengono registrati per poi entrare nei magazzini dove vengono stoccati gli aiuti che arrivano da tutta la Polonia. Sono impressionato da quanta roba ci sia!
L’ultima parte del percorso porta a stanze allestite con scaffalature, dove sono riposti i beni di prima necessità, vengono presi dai volontari ma anche le persone possono entrare e scegliere quello che serve. La mano di Dio. A terra perfino blocchi di medicinali pronti all’uso, quelli di esigenza primaria a cui non serve il benestare del medico.
In mezzo a tante inutili e banali divisioni, ideologiche, culturali, religiose, quello di oggi è l’esempio migliore di come gli essere umani possano abbattere ogni barriera, considerarsi identici nel benessere ma soprattutto nel bisogno.
Ed io mi sento in punta di piedi, un semplice visitatore e anche se ho cercato di aiutare, immedesimarmi empaticamente nel loro dolore e stato d’animo, sono ben lontano dall’esserlo.
Un bellissimo film di Emmanuel Carrère, “Tra due mondi“, ha una protagonista che si finge povera e cerca un lavoro, vuol comprendere la povertà ma, ad una certo punto una donna le dice:”Non potrai mai capirlo davvero, anche se farai i lavori più umili, anche se ti distruggerai e sporcherai le mani e tornerai a casa con i piedi gonfi e doloranti. Perché tu puoi smettere quando vuoi. Loro no”.