Mentre ascolto e leggo con apprensione le prime ma significative notizie di una seria e concreta trattativa diplomatica in grado di fermare al più presto devastazione e dolore per il popolo ucraino, mi accingo a preparare la borsa.
Da lunedi prossimo per sette giorni mi trasferisco in Polonia, al confine con l’Ucraìna, ho deciso di dare un piccolo contributo alla grande macchina della solidarietà polacca, quella che in queste ore sta gestendo oltre un milione e seicentomila profughi ucraini.
Sono in attesa delle ultime autorizzazioni ma il resto dell’organizzazione è a buon punto. Visiterò i centri di Medyka, Korczowa, Rzeszow Hrebenne e Przemysl, sono i punti nevralgici di maggior afflusso, dove donne, bambini e anziani arrivano di giorno ma soprattutto di notte da percorsi nei boschi o strade ancora praticabili.
Mi unirò alle centinaia di volontari già presenti e provenienti da ogni parte d’Europa e del mondo per sostenere esseri umani fuggiti da un incubo.
Non mi spaventa lo sforzo fisico al quale sarò sottoposto ma piuttosto quello psicologico e umano.
Vedere volti con impresso un dolore atroce, ascoltare racconti di sofferenza incomprensibile, magari assistere a vite che si spengono al di la dell’inferno.
Amici e colleghi mi raccontavano di quanto, durante il bombardamento alla base militare ucraina vicina al confine, si sentissero i vetri delle stanze tremare mentre fossero nel dormiveglia dell’alba e quale sensazione di paura li avesse assaliti con i pensieri peggiori.
Sono i momenti in cui capisci molte cose, quanto hai, quale fortuna tu abbia avuto nel nascere in un Paese libero da dittature o almeno nel momento in cui esse non vi fossero.
Pensi alle inutili lamentele per banalità quotidiane, a ripicche, stupidi orgogli distruttivi o a quei piccoli disagi percepiti come enormi fastidi e corrosivi della tua privilegiata realtà.
Rompere l’incantesimo può far bene, per farci tornare ogni tanto coi piedi per terra e la testa sulle spalle, diventando e crescendo uomini e donne migliori.
Insieme all’aria della solidarietà respirerò quella dell’odio verso i russi, un rancore mai svanito dai cuori polacchi.
Chi ha vissuto la repressione, conosciuto il sistema sovietico non ammette divagazioni, giustificazioni quando si tratta di libertà, per questo temono provocazioni, sconfinamenti, aggressioni che invece ad oggi possono solo essere sulla carta.
Non dimenticano e sono tanti i nati e vissuti prima del 1993, anno in cui i russi lasciarono per sempre il suolo polacco, sono ancora lì, e sentono sulla pelle il soffio del regime che spia, accerchia, arresta, tortura e uccide, per questo gli ucraini sono i loro fratelli.