Gli studenti italiani non demordono e il cinque febbraio torneranno ad occupare piazze romane e di altre località. “Sangue del nostro sangue”, così esternano la solidarietà alla tragedia avvenuta al giovane Lorenzo Parelli.
Definiscono la società odierna e l’alternanza scuola lavoro un modello infame, ne chiedono l’abolizione con la sostituzione di un provvedimento che sia libero dalla speculazione dei privati, questa la definizione.
Si tratta di un argomento spinoso, cui non bastano poche righe. Il gap tra domanda ed offerta in questo Paese di PMI è da anni fragile e al contempo complesso e drammatico.
Aziende che si trovano ad assumere giovani impreparati alle logiche del lavoro ma anche, a volte, sulle questioni di competenza didattica acquisita.
Studenti che appaiono smarriti nei primi mesi post assunzione, sconnessi dalla realtà rispetto a quello idealizzato o proposto negli anni di studi negli istituti professionali.
Vivo queste realtà da anni e da anni sollecito in prima persona, anche come giornalista, confronti pubblici sulla questione, suggerisco di creare arene di confronto tra imprenditori, manager e studenti perché solo il comprendersi, l’ascoltare e parlare mettendosi gli uni nella parte degli altri può portare a comprendere differenze e aspettative.
Nulla. Scuola e politica temono di aprire una piaga e i giovani restano al palo.
Se è vero che vi sono aziende, del resto accade anche con i classici periodi di stage, che utilizzano queste risorse per la pulizia di bagni, fare montagne di fotocopie e sistemare archivi, rendendo inutili e deplorevoli mesi di presenza da parte del futuro lavoratore, è anche vero che nell’alternanza scuola lavoro però, si registrano aperture differenti da parte degli imprenditori, almeno quelli seri.
Vi è l’attenzione a scegliere il tutor, seguire passo dopo passo una formazione importante, quando il soggetto è predisposto, interessato e dimostra capacità, molte volte le imprese, tendono a prenotarselo prima ancora che finisca il periodo scolastico per inserirlo subito dopo gli esami.
I ragazzi chiedono retribuzione, ma la normativa parla di periodo formativo inteso come acquisizione di competenze complementari ai loro percorsi di studio e come tale i ragazzi non perdono lo status di “studenti”. Non si tratta di sostituire posizioni professionali, come accade durante gli stage.
Vi sono però, anche dei diritti, agli studenti va data informazione circa il percorso formativo che, deve essere coerente con il percorso di studi seguito.
Nel caso di Lorenzo ancora le indagini non hanno stabilito perché il tutor ammalato non fosse stato sostituito e cosa accadesse ogni giorno destinato alla formazione.
Spiace certo ma, se pensiamo che nel 2021 abbiamo avuto 1.404 morti sul lavoro regolamentare, non stupisce che sia accaduto anche in una fascia più protetta.
Imprenditori, manager, lavoratori e anche studenti dovrebbero porsi come prima condizione lo studio in tutte le sue varianti del “senso di responsabilità”, avremmo meno tragedie e proteste.