Spendereste tre, cinque o dieci euro al mese per diventare un super follower privilegiato nella galassia dei social? È la domanda che in tanti si pongono dopo un cinguettio ufficiale di twitter.
I cosiddetti creatori di qualcosa, dall’artista musicale al poeta o il semplice fan cazzista di Tik Tok, potrebbero guadagnare molto di più di quanto già non incassano per visualizzazioni e like.
Un esperimento già testato da YouTube, cuochi esperti ma anche amatoriali ad esempio, raggiunto un certo numero di iscritti al canale agganciavano un abbonamento con dei bonus per gli iscritti.
In poche parole, potevamo vederli in qualche live ai fornelli o avere una ricetta segreta che i miserabili non iscritti non avrebbero avuto. Perché non hanno queste pensate per diffondere cultura a buon mercato?
Ma, per i più famosi d’ogni campo l’esca più appetibile destinata all’ingenuo follower resta la possibilità di interagire con il famoso, il divo irraggiungibile. Io scrivo e lui mi risponde, sì proprio lui interagisce con me, il signor nessuno che in cambio offre solo 3 euro al mese.
La maggior parte delle volte però, non parliamo di Lady Gaga o Leonardo di Caprio ma di tante insignificanti meteore diventate note nei salotti dei talk show televisivi.
C’è davvero da chiedersi fin dove si spingerà questa follia psico comportamentale dell’investire del tempo nell’interesse di vite altrui.
Sapere cosa fanno, hanno comperato, dove han cenato, fatto le vacanze, fatto l’amore o tradito.
Se prima poteva essere un semplice selfie oggi postare richiede tempo e APP, molte a pagamento per video e foto perfette.
Tempo sottratto al lavoro…tanto, alle relazioni personali…tanto…al semplice gusto di godersi un passatempo costruttivo.
Il lato pericoloso di tutta questa nuova era che qualcuno ha già chiamato “ibridocene”, cioè siamo metà reali e metà virtuali, è che la dipendenza del seguire qualcuno torna come un boomerang, ed eccoci a far dipendere il nostro umore e sicurezza da quanti like portiamo a casa investendo tempo.
Un tempo che diventa sempre maggiore, tant’è che gli smartphone offrono rendiconti settimanali e quel troppo tempo dentro i social ci vizia di identità non nostre, di adulazioni distruttive e spinge come Eva nel giardino alla mela del peccato, quello della falsità.
Si passa dai connotati fisici, ai titoli di studio e le occupazioni per arrivare al provocatore ideologico seriale e al procacciatore e diffusore di fake news.
Quando usciamo da quella realtà dove tutto è semplice e patinato, iniziamo a non apprezzare più quella vera, depressione e isolamento sono dietro l’angolo, ovviamente psicanalisti e multinazionali ringraziano.
Non ci resta che sperare in un vaccino da social, ma allora i no vax sarebbero estinti.