Se è vero che metà dell’Italia che lavora sta soffrendo, l’altra metà pur lagnandosi, sta lavorando e anche molto.
Parlo dell’Italia del manifatturiero (tessile escluso) e dei servizi. Lo conferma anche il tasso di disoccupazione, sceso un mese fa al 10,2%.
Gli ordini sono tornati, gli impianti funzionano a pieno ritmo (tranne quelli che ancora sfruttano cassa integrazione non necessaria, rubandola ad altri) ma il problema vero restano le risorse umane.
Un anno di condizionamento psicologico e sociale pandemico ha lasciato strascichi pesanti nella popolazione lavorativa e non solo in quella.
Uno dei maggiori problemi di imprenditori e manager è quello di avere un alto numero di dipendenti demotivati, perfino arrabbiati.
Quasi impossibile, come chiede il codice deontologico dei lavoratori, lasciare fuori dal cancello ogni mattina i problemi personali. Mutui da pagare, convivenze forzate, bambini inquieti, malati da accudire ne abbiamo per tutti i gusti.
Ma il problema non nasce con il Covid ma da lontano. Partiamo da un concetto fondamentale arrivati oggi al 2021: iniziamo a misurare il lavoro in qualità più che in quantità.
Non tanto per numero di ore lavorate o pezzi prodotti ma, per valore aggiunto economico e sociale creato. È il lavoro fatto male che crea danni.
Se una piccola impresa è in difficoltà ma ha 10 dipendenti che lavorano bene, credono nell’azienda e hanno un buono spirito di gruppo, cercherà di assumerne un altro per migliorare la produzione e ritrovare slancio. Viceversa, un’altra piccola azienda anche economicamente sana ma con 10 dipendenti che litigano, lavorano poco e male e si mettono in malattia, cercherà in ogni modo di disfarsi di qualcuno di loro tralasciando di assumerne altri.
Come possono lavorare bene aziende con dipendenti demotivati come in questo periodo?
Forse non è il problema il non trovare personale specializzato e neppure il formarsi adeguatamente, molte aziende decidono chi e come formare senza interpellare il dipendente.
Si tratta di innalzare il livello di reciproca fiducia, troppo carente nelle PMI italiane, ritrovare il senso di appartenenza quando qualcosa funziona per il meglio e garantisce stabilità.
È ora di rendersi orgogliosi di avere un posto di lavoro e gli imprenditori di PMI escano dal pregiudizio che tanto le persone restano perché fuori non c’è lavoro.
In questo Paese le esigenze emotive e motivazionali delle persone sono secondarie nella ricerca e mantenimento del lavoro.
Oggi, adesso, diviene urgente investire non solo su vecchie formule come, formazione, competenza, fondi e salario, ma sul valore vero del lavoro: le persone.