Senza volerlo, andandotene prima, molto prima del tempo, hai spezzato la normalità di un’ adolescenza inquieta, facendomi investire da una valanga di parole ed d emozioni prima sconosciute: malattia, sofferenza, dolore, solitudine, rabbia.
Negli anni, provai a ripulir le cicatrici ma eran profonde più della gioia, l’amore, il senso di famiglia perduto.
Così, di fronte ad un bivio, senza troppo tempo per decidere ho reagito per dimenticare, andandomene, spezzando le radici.
Contavo i minuti per fuggire dal lavoro, consumavo libri cercando un riscatto, un rispetto non lontano ad arrivare, ovunque e da chiunque. Mi confondevo vivendo nella gente. Ti avevo dimenticato per non soffrire.
Così nel tempo, di fronte ad un riconoscimento, come a una sconfitta, ti ritrovavo in quell’abbraccio o in quello schiaffo cercato e mai avuto. Troppo debole per contrastarti in prematuri confronti e troppo forte poi, per ammetterne i torti.
Sei stato te stesso, sempre, senza mutare i tuoi distacchi, le ruvide assenze di affetto plateali ma anche leale nell’aver inteso chi e quale uomo sarei stato, facendoti coinvolgere da paure legate alla mia sopravvivenza.
Son qui a ricordarti papà, come molti, lo faccio con poche righe ed una poesia, perché ritengo, nonostante tutto, tu sia per me immortale… come la tua essenzialità.
Credo, i versi di Pier Paolo Pasolini, raccontino al meglio il vuoto, la solitudine provata negli anni nel non averti avuto accanto.
Senza di te tornavo, come ebbro,
non più capace d’esser solo, a sera
quando le stanche nuvole dileguano
nel buio incerto.
Mille volte son stato così solo
dacché son vivo, e mille uguali sere
m’hanno oscurato agli occhi l’erba, i monti
le campagne, le nuvole.
Solo nel giorno, e poi dentro il silenzio
della fatale sera. Ed ora, ebbro,
torno senza di te, e al mio fianco
c’è solo l’ombra.
E mi sarai lontano mille volte,
e poi, per sempre. Io non so frenare
quest’angoscia che monta dentro al seno;
essere solo.