Sono giorni in cui la divulgazione dei risultati di un sondaggio fatto a coppie italiane, in merito al desiderio di procreazione, ha generato polemiche e profonde divisioni nel Paese . Non solo il calo demografico è ai minimi storici ma, secondo questi dati, potrebbe divenire irreversibile.
Infatti, gli interpellati, evidenziano un malessere di fronte alla possibilità di mettere al mondo dei figli e coloro che già ne hanno, non lo rifarebbero . Le motivazioni più rappresentative ? Innanzitutto quelle di ordine economico (assenza di politiche di assistenza famigliare e servizi ) ma, quello che più colpisce, è la franchezza con la quale essi, non esitano a indicare la mancanza di volontà nel rinunciare al proprio lavoro, ad aspettative di carriera e a tutta una serie di sacrifici quotidiani legati al tempo libero e necessari alla crescita e formazione di un figlio.
Come a dire, “un figlio? No grazie.” Se è vero che anni fa la vicinanza al luogo di lavoro agevolava, come pure l’attività stessa in termini di tempi programmati, quello che stona oggi è il rifiuto ad accettare valori che comportano rinunce: viaggi, apericene, discoteche insomma la parte ludica della vita.
È proprio vero che le generazioni passate non si divertivano? Forse si accontentavano. Quello che c’era veniva diviso, una bocca in più la si sfamava e la si vestiva con la condivisione.
Che significato ha oggi donare la vita? Può essere solo una condizione matematica di sottrazione? Preferisco chiamarlo sano egoismo, giustificato da precarie condizioni economiche.
E quegli eserciti che strumentalizzavano le unioni civili omosessuali come demoni colpevoli dei cali demografici e della fine del popolo italiano, dove sono? Mi aspetto una crociata contro questo etero egoismo contro natura .