Black sheep non vince l’Oscar ma riporta l’Humanitas di Cicerone nel 2019.

La storia di Cornelius Walker, un giovane di colore, viene sconvolta all’età di dieci anni assistendo all’omicidio di un suo coetaneo nigeriano a Londra. Il padre decide di trasferire la famiglia nell’Essex, una Contea dell’Inghilterra orientale. Se la scelta viene vissuta inizialmente come una liberazione e una fuga dalla paura, si trasforma repentinamente dalle prime uscite di casa, in un incubo peggiore del previsto. Il documentario del regista Ed Perkins non conquista la statuetta come miglior cortometraggio a scapito di End of Sentence, storia basata sulla condizione delle donne in una Regione dell’India, peccato però ! Black Sheep di questi tempi ci sferra un pugno nello stomaco se siamo affabulati da una propaganda deviante e ci stiamo abituando ad essa, Il tema dell’odio razziale, non certo riconducibile al top dei temi ideologici del momento, l’immigrazione, ( essa acconsente discussioni che riportano al tema della sicurezza ) è al centro di questo vissuto del protagonista del corto. Sceneggiatura e regia penetrano nella ragione e nelle variabili emozioni umane, quelle di un adolescente, uno dei tanti. Parola dopo parola, se seguiamo con trasporto il video, ci rendiamo conto di aver tutti provato per una volta, escludendo i bulli, machi, i super piccoli uomini di quell’età, la sensazione di voler essere accettati ad ogni costo nelle tempeste delle nostre insicurezze. Ma il pericolo è gigantesco quando esse non riguardano aspetti estetici, linguistici o fisici bensì razza, religione o sesso. La brutalità del racconto sta nella violenza della trasformazione alla quale Cornelius approda, per incenerire le fragilità riesce addirittura nell’azione di calpestare la scena di quel coetaneo assassinato sotto i suoi occhi solo per il colore differente della pelle.

Lo fa, schiarendosi la pelle del viso, oscurando l’iride marrone dell’occhio negandola con delle stupide lenti turchesi, arriva a patire la fame per accumulare sterline da destinare ad una abbigliamento consono e simile a quello dei bianchi, delle gang più pericolose, si spoglia gradatamente della propria identità, come persona, come appartenente ad una razza, con la sua cultura, i suoi linguaggi, gesti e sentimenti. La tragedia però, non si limita a questo, si spinge oltre, evidenziando il paradosso della consapevolezza di tutta questa violenza, il giovane è consapevole di vestire un’identità vile, ipocrita, lontana dalle sue attidituni ma non la fugge anzi, ne moltiplica gioca a renderla perfetta, graftificante, immedesimandosi nel carnefice, rendendosi inconsapevolmente vittima. La sensazione che mi pervade al termine della visione è triste di silenziosa angoscia ma riesco a trovare uno spiraglio di positività prendendo il cortometraggio non come un semplice prodotto cinematografico ma quale mezzo per vivere empaticamente la vita e le emozioni dell’altro. Perkins, regista inglese, riesce a resucitare Cicerone, quando scriveva di “Humanitas”, restituendo allo spettatore  quel tipo di sensibilità nei confronti degli altri e delle loro storie che includeva soprattutto la capacità di immaginare le loro esperienze. La narrazione di queste immagini fanno di nuovo grande, in un momento dove la fragilità è tornata a nascondersi, il concetto di dover imparare a vedere e amare il nostro prossimo come noi stessi. Gli istinti accecano temporaneamente il male che possono compiere sugli altri, soprattutto diversi, fuori dal branco, quando la luce della ragione torna, per qualcuno invece si è spenta per sempre.

Desidero ricordare quanto la politica dell’umanità, non debba coincidere con l’approvazione delle scelte altrui o anche solo con il rispetto per le loro azioni ma bensì di vedere gli altri come esseri umani che hanno eguale dignità e un eguale diritto di perseguire un’ampia gamma di scopi umani.

Se volete immergervi nell’opera Black sheep proverete queste sensazioni. Vi lascio il link, il cortometraggio dura 27 minuti . Buona visione e grazie dell’attenzione . https://bit.ly/2MtGMk7

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